Depressione

La depressione è una persistente alterazione del tono dell’umore verso forme di estrema tristezza accompagnata spesso da sentimenti di disperazione, riduzione dell’autostima e odio di sé.


Un episodio depressivo è caratterizzato solitamente da un significativa anormalità dell’umore, perdita di energia che può resistere alle sollecitazioni esterne, incapacità a provare piacere, difficoltà ad iniziare un’attività o a concentrarsi, variazioni del sonno, dell’appetito, del desiderio sessuale. Spesso si osservano crisi di pianto, indifferenza per le attività e le interazioni sociali, minore cura del corpo e dell’aspetto, inquietudine, ritiro sociale, rallentamento cognitivo.


Vi sono alcune condizioni mediche che causano sintomi simili a quelli depressivi: diabete, disturbi della tiroide (iper- e ipotiroidismo), sclerosi multipla, morbo di Parkinson, traumi cranici, epatite, alcune malattie infettive ecc.

Va immediatamente chiarito che la depressione, in senso clinico, non è solo tristezza ma è un disturbo che influenza in modo significativo sia la mente (comprese le funzioni cognitive) che il corpo (compreso il sistema immunitario) e può variare notevolmente in intensità, passando da forme lievi (che però non sono necessariamente benigne) a manifestazioni gravemente invalidanti.


Le ripercussioni somatiche più frequenti sono mal di testa, mal di schiena, dolori muscolari, palpitazioni, svenimenti o costipazione non spiegati da una patologia fisica, aumento o diminuzione di peso, fatica, letargia, rallentamento motorio, insonnia o ipersonnia. Non è raro l’uso o abuso di alcol o sostanze nel tentativo di curarsi da sé.


Spesso si distingue tra:


Depressione endogena: detta anche melanconia, è la forma classica di depressione, che ha origine “dal di dentro” e non rinvia ad apparenti cause esterne; è caratterizzata da una marcata preoccupazione relativa al valore di sé ed è sovente accompagnata da pensieri autocritici;


Depressione reattiva: la cui origine è rintracciabile in eventi di perdita come lutti, problemi coniugali, divorzi e separazioni, delusioni amorose, perdita del lavoro, insuccessi professionali; in questo caso le preoccupazioni maggiori riguardano le relazioni e la propria capacità di realizzarsi all’interno di una dimensione relazionale.


Per approfondire gli aspetti relativi ai vissuti soggettivi della depressione si veda la mia relazione tenuta nel 2008 al Congresso “Comprendere e curare la depressione”: “Fenomenologia della depressione: l’esperienza del dolore”.


Un aspetto da tenere in considerazione è la frequente presenza contemporanea di stati ansiosi e depressivi: molto spesso alcuni sintomi ansiosi precedono la comparsa di importanti stati depressivi. Sebbene si possa pensare che ansia e depressione siano due manifestazioni opposte, l’ansia come una specie di iperattività e la depressione come mancanza di energia, in realtà le cose non stanno esattamente così. Innanzitutto le condizioni che possono portare a stati ansiosi o depressivi possono essere simili. Da un punto di vista fisiologico lo stress, che non è necessariamente dovuto a situazioni esterne ma può derivare da conflitti interni, attiva l’asse ipotalamo-ipofisi-surrene (con la relativa attività dell’amigdala e di inibizione retroattiva da parte dell’ippocampo) coinvolto sia nell’ansia che nella depressione: nei pazienti depressi, infatti, il livello ematico di cortisolo è elevato così come sono elevate le concentrazioni dell’ormone di rilascio della corticotropina (CRH) nel liquido cerebrospinale (a conferma di ciò si pensi che il trattamento con ormoni glucocorticoidi per patologie come l’artrite reumatoide può condurre alla depressione).


Non deve pertanto stupire che molto spesso i farmaci utili per curare i sintomi depressivi (inibitori della ricaptazione della serotonina) risultino efficaci nel ridurre anche i sintomi ansiosi. Quello che sorprende è che l’azione sintomatica di questi farmaci richieda molte settimane per svilupparsi nonostante essi abbiano un effetto praticamente immediato sulla modulazione intersinaptica dei neurotrasmettitori: un’ipotesi è che questi farmaci inducano dei cambiamenti adattivi nel cervello, probabilmente a livello di recettori glucocorticoidei nell’ippocampo. Inoltre è nota la relazione diretta tra attività serotoninergica (sulla quale agiscono i farmaci antidepressivi) e aggressività. Sembra quindi che la depressione, più che assomigliare ad uno stato passivo e inibito, corrisponda ad uno stato attivo di lotta ma che agisce in modo interiorizzato. La fisiologia della malattia quindi conferma la concettualizzazione freudiana della melanconia come una forma di aggressività rivolta all’interno, verso il Sé.


Il fatto che vi siano delle importanti evidenze fisiologiche correlate agli stati depressivi non ha ovviamente il significato che la causa della depressione sia una causa organica. Freud per primo ha descritto la depressione come sofferenza psichica, partendo dalla similarità sintomatica tra il lutto e la melanconia. Nel lutto è necessario un intenso lavoro intrapsichico volto all’accettazione della perdita che, nel caso in cui sfoci in una reazione depressiva, diventa una impossibilità ad accettare la perdita, una “difficoltà a rinunciare”. Ma nel lutto “normale” solitamente vi è una certa oscillazione nei sentimenti, quelli negativi si alternano di tanto in tanto a quelli positivi ad esempio ricordando momenti divertenti passati con la persona scomparsa; nella depressione i sentimenti sono quasi esclusivamente negativi. Inoltre, da tenere presente, nel lutto “normale” l’autostima non è intaccata, mentre nella depressione prevale una visione negativa di sé.


La depressione vera e propria quindi può essere vista come una risposta al dolore psichico derivante dalla difficoltà a rinunciare ad una situazione ideale del Sé, fonte di benessere e sicurezza, in netto contrasto con la situazione reale della persona. Spesso si tratta di motivazioni e rappresentazioni profonde di una persona, strettamente legate ed inserite nel proprio contesto ambientale e interpersonale.


In molti casi inoltre si tende a considerare la reazione depressiva primariamente rispetto ad eventi esterni: questo è sicuramente utile ma diventa efficace in modo stabile e duraturo da un punto di vista terapeutico solo se rende comprensibile in che modo un evento oggettivo ed esterno abbia assunto quel particolare significato soggettivo per il paziente.

Il trattamento della depressione è essenzialmente psicoterapeutico e nelle forme più gravi anche farmacologico ma non dovrebbe mai essere solo farmacologico. Purtroppo i farmaci senza un intervento psicoterapeutico spesso non sono molto efficaci proprio nelle forme minori, che comunque non sempre sono benigne e necessitano di un trattamento adeguato. Si veda anche un articolo pubblicato su questo sito: “Antidepressivi: 10 studi che varrebbe la pena conoscere”


Ma anche quando il farmaco può rivelarsi utile, spesso proprio la patologia rende complicata l’accettazione del farmaco stesso e non è infrequente per il medico o lo psichiatra trovarsi davanti ad un paziente che chiede di essere aiutato ad uscire dalla depressione ma che contemporaneamente non segue le prescrizioni, modificando dosaggi, tempi e modi di assunzione.

Si deve anche tenere conto che molto spesso il farmaco agisce mediante effetti secondari invece che direttamente: ad esempio ho potuto osservare diversi casi in cui la depressione aveva la causa profonda in una inibizione del desiderio poiché in conflitto con altri valori della personalità. Poiché uno degli effetti dei farmaci è proprio la diminuzione della libido, questo ha portato ad escludere uno dei poli del conflitto facendo “star meglio” il paziente e liberandolo dai sintomi depressivi più invalidanti. Purtroppo però non si trattativa di una vera “guarigione” poiché il costo da pagare era proprio “amputare” la parte desiderante della personalità che così faticosamente tentava di emergere e farsi ascoltare. Il paziente stava meglio non perché risolveva il conflitto ma perché lo evitava rinunciando ad una parte di sé. A lungo termine gli effetti sulla vita relazionale ed affettiva possono essere molto gravi.


Contrariamente a quanto si crede la psicoterapia non si limita alle forme più lievi ma è necessaria ed efficace anche nelle forme più gravi di depressione maggiore. Spesso in questi casi è essenziale agire sia farmacologicamente che dal punto di vista psicoterapeutico.


Per quanto riguarda la psicoterapia della depressione, si deve tenere conto che se ci si trova di fronte a tratti di personalità depressiva la durata può essere maggiore mentre non sempre la durata di una psicoterapia per problemi depressivi, soprattutto se non gravi, è lunga. Lo scopo comunque è sempre comprendere il particolare significato personale della depressione e gli affetti connessi a questo significato.


Un aspetto dei disturbi depressivi che meriterebbe una ampia trattazione è quello relativo alla maniacalità ed al disturbo bipolare: si tratta di stati relativamente instabili di umore elevato che hanno lo scopo di negare le sottostanti dinamiche depressive. Purtroppo le persone in fase maniacale, oltre a seguire con difficoltà le prescrizioni farmacologiche, sono solitamente molto resistenti e poco accessibili alla psicoterapia anche a causa della loro tendenza ad abbandonare le relazioni nel momento in cui sentono emergere dei sentimenti di attaccamento.


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